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DEA E IL SUO FISIOTERAPISTA

DEA E IL SUO FISIOTERAPISTA
Marzo 22, 2019

“Mentre cerchiamo di insegnare ai nostri figli tutto sulla vita, i nostri figli ci insegnano che la vita è tutto”
(Angela Schwindt)

Oggi cade il trigesimo della scomparsa della piccola Dea, una paziente speciale della Fondazione. La ricordiamo con le parole del fisioterapista che le è stato sempre vicino, Franco La Torre.

“Nel gennaio 2018 mi viene affidata come caso domiciliare la piccola Dea Pilolli, bambina di tre anni affetta dalla rara sindrome di Beare Sterenson, unico caso in Italia e circa venti al mondo. Nella mia carriera trentennale di fisioterapista ho trattato prevalentemente adolescenti ed adulti e non nego che ero preoccupato di fronte a questo caso così complesso, vista l’età di Dea ed il quadro clinico. Come caso clinico Dea era davvero speciale: collegata a ventilazione assistita h24 attraverso tracheotomia, monitorata h24 anche nella rilevazione dei parametri cardiaci e respiratori. Inoltre era alimentata attraverso Peg. Ciò determinava la presenza costante di tubi e fili che di certo avrebbero reso ancora piu’ complesso il lavoro strettamente chinesiterapico. Ma quando mi sono trovato di fronte a quegli occhioni sgranati che curiosi mi guardavano, ho capito che a guidarmi sarebbe stato il mio istinto. A quel punto le mie paure si sono dissolte. E’ stato semplice destreggiarmi tra quei tubi e quei fili e Dea non era piu’ una paziente da “temere”, ma una bambina da coccolare. Anche se Dea non riusciva a verbalizzare le sue situazioni di disagio e di dolore, c’erano i beep beep delle macchine (tachicardia e saturazione di O2 basso) che me lo facevano capire. In poco tempo siamo entrati in piena sintonia empatica e Dea aveva accettato la mia figura oltre ogni rosea aspettativa. L’aspetto strettamente teeapeutico dopo un po’ di tempo non ha seguito piu’ i canoni standardizzati di un asettico piano di lavoro, ma le logiche di un gioco (con un cu-cubà gestuale mi salutava all’arrivo e con un altro mi faceva intendere quando non voleva piu’ lavorare). Ho lavorato in questo modo con Dea per circa un anno servendomi della collaborazione della mia piccola assistente Michela e di Arianna, sorelle e di Ela, la mamma. Abbiamo conseguito obiettivi che inizialmente mai avrei immaginato di raggiungere, piccole autonomie come scivolare giu’ dal divano da sola, oppure manipolare degli oggetti per giocarci, piuttosto che stare seduta con minimo sostegno, hanno rappresentato conquiste importanti per la vita relazionale di Dea. Continue complicazioni cardio-respiratorie non erano riuscite a fiaccare la sua tempra, riuscivamo sempre a riprendere da dove avevamo lasciato. Purtroppo uno di questi episodi è stato deleterio anche per la sua forte fibra. Dea ci ha lasciati il 22 febbraio di quest’anno.
Cosa ha lasciato quest’esperienza? I pazienti ci fanno depositari di fiducia e di tanta speranza. Noi con il nostro lavoro cerchiamo di migliorare e rendere meno onerose quelle condizioni patologiche che fiaccano il fisico e lo spirito del paziente e dei loro familiari. Allora ti rendi conto di quanti sacrifici richiede la gestione di siffatta situazione. L’emergenza diventa quotidianità, tante persone ruotano intorno ad una bimba perchè questa possa avere sollievo dalla sofferenza e anche dei momenti di gioia. Capisci che la piccola conquista rappresenta il raggiungimento di un grande obiettivo e sposti la cordicella del traguardo un po’ piu’ avanti. Ecco in questo possiamo sintetizzare la grande lezione di vita che Dea, le sorelline, la famiglia tutta sono riusciti a darmi: il piccolo che diventa grande e l’insignificante
che diventa importante. Il tutto vissuto giorno per giorno.”

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